Quella “cosa” del Terra rossa. Nella Lecce monarchica

Quella “cosa” del Terra rossa. Nella Lecce monarchica

13315596_1091610140890776_13841725702801241_nLa foto del Sindaco Paolo Perrone di fronte al muro del Santuario di San Filippo Smaldone appena deturpato da qualche imbecille, ricorda molto quella dei baroni del secolo scorso sulle mura delle masserie, protetti dalle doppiette dei massari, mentre ammirano schiere di cafoni morire di lavoro nei campi. Immagini di apparente coraggio. Che di certo non spaventano i cafoni, quelli veri, che hanno imparato a leggere la paura negli occhi. E così Lecce si scopre essere il perfetto set di un film nostalgico sugli anni ’70: centri sociali occupati, scritte anarchiche sui muri, sindaci in coraggiosa posa fascista. Con grande giubilo dei soporiferi organi di informazione locale i quali – dopo aver trascorso gli ultimi mesi a raccontare di come un petardo “solo per una fortuità casualità non ha provocato danni (da bomba atomica, ndr) e i malcapitati, solo per accertamenti, sono stati trasportati nei nosocomi della Città Bella e della Città Adriatica (ospedali di Gallipoli e Brindisi, altra ndr)” – non riescono proprio a trattenersi dall’utilizzare un lessico direttamente tratto da un comizio studentesco di Mario Capanna per descrivere quanto sta accadendo in questi giorni nel “capoluogo salentino capitale del barocco”.

Circa dieci anni fa, intorno alla mezzanotte, un dipendente di una ditta di vigilanza privata, stava svolgendo la classica ronda di controllo attorno al Palazzo Codacci Pisanelli dell’Università di Lecce. Fu avvicinato da un gruppo di cosiddetti anarchici che iniziarono a provocarlo pesantemente per motivi stupidi: “Te faci lu forte sulu percè porti la pistola”. La più scalmanata era una ragazza che arrivava addiritura a spintonare e a colpire più volte il povero lavoratore, probabilmente perchè, se questi avesse reagito, sarebbe stato legittimo per gli altri teppisti intervenire in difesa della donna. Il vigilante, però,  non perse la calma e avvisò i carabinieri che erano nella vicina Porta Napoli. Appena i militari si avvicinarono al gruppetto, i presunti anarchici si dileguarono a velocità luce dimostrando, ancora una volta, come si trattasse solo di figli di papà annoiati che avevano solo intenzione di vivere qualche nuovo brivido.

Nell’ultima campagna elettorale prima della sua tragica scomparsa, Carlo Benincasa dichiarò pubblicamente come: “La sinistra leccese è troppo salottiera”. Qual è stata la massima espressione della lotta sociale a Lecce negli ultimi anni? Questa cosa del Terra Rossa. Ora, i cittadini sono stati encomiabili nel loro impegno e nel loro lavoro. Ma, si sa, le masse hanno bisogno di una guida per poter convogliare i loro sforzi nella giusta direzione. Ad essere sincero, non intravedo nessun progetto e nessuna rivendicazione dietro questa iniziativa. I professori possono provare a vendermela quanto vogliono raccontando di come si sia trattato di un favoloso esperimento di riappropriazione di spazi urbani e di democratica e condivisa gestione di un nuovo modello di partecipazione civile. Per quanto mi riguarda, i professori sempre professori sono. Sperimentano, di solito quando sono annoiati o liberi dal barattare posti di ricercatore con concorsi da ordinario. Poi, dopo aver trascorso un po’ di tempo con il loro nuovo giocattolo, passano a cercare qualcosa di nuovo con cui appagare il loro ego. La lotta di classe è cosa diversa. Vuol dire creare una coscienza dei diritti che è sempre meno presente nei cittadini. I giovani salentini lavorano gratis per mesi, senza nemmeno rimborsi spese, sperando in future assunzioni. La massima aspirazione, per un giovane laureato leccese è di ottenere un posto in un call center. Lasciamo perdere le volgari storie legati ai voucher come compenso per prestazioni professionali. Ovviamente nel silenzio della stampa locale e nella più assoluta indifferenza della politica e dei sindacati. In questo panorama, la sinistra leccese, persino quella cosiddetta antagonista, è tutta concentrata sui centri di accoglienza, e sulle sperimentazioni sociali. Persino quando ancora persisteva un ultimo scampolo dei partiti di sinistra (Rifondazione, Comunisti Italiani, ecc), si parlava solo di questioni internazionali, di boicottaggio della coca cola e mai di lavoro e di diritti. Molti di quegli allora giovani segretari di partito, oggi hanno smesso con la politica e hanno iniziato una brillante carriera accademica. Saranno professori associati o ordinari durante la prossima occupazione di qualche asilo abbandonato.

Lecce è ciò che era. La città dove nel referendum del 1946 la monarchia ottenne la percentuale più alta in Italia (85%). Nonostante fosse una realtà agricola, i braccianti continuarono ad essere succubi dei baroni. Nonostante sia ora una realtà di disoccupazione e precariato, gli sfruttati continuano ad essere assolutamente inconsapevoli dei loro diritti. Dovrebbero essere gli accademici e i politici di sinistra ad illuminare e a diffondere una cultura del diritto. Ma questo comporterebbe perdere il posto nei salotti o, peggio ancora, litigare con il padre, o padrino, che potrebbe non trasferire al figlio, o figlioccio, il titolo di barone.

Marilù Mastrogiovanni
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