Butterfly, le pareti dell’anima

Butterfly, le pareti dell'anima

A marzo la Stagione Lirica del Teatro Petruzzelli di Bari è proseguita con un’interessante produzione di “Madama Butterfly”, capolavoro di Giacomo Puccini (1858 – 1924), realizzata in collaborazione con il Maggio Musicale Fiorentino.

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Foto di Carlo Cofano

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IERATICA COMPOSTEZZA

3L’intelligente allestimento scenico a cura di Fabio Ceresa incastona la tragedia dell’eroina pucciniana in un contesto socio-culturale circoscritto negli ambiti della propria religiosità e delle proprie tradizioni, contesto che risulterà determinante nell’evolversi della vicenda della protagonista. La fatidica massima “Con onor muore chi non può serbar vita con onore” sembra echeggiare per tutta l’opera attraverso la presenza dell’austera serva Suzuki, personaggio che in questa visione drammaturgica acquisisce fondamentale importanza. La sua asciutta e ieratica compostezza, del tutto priva di qualsiasi leziosità, si impone sul palcoscenico durante tutta l’opera: pennello alla mano, ella continua a redigere con paranoica meticolosità il contratto nuziale quasi a voler esorcizzare l’incombente sventura rappresentata (si badi bene) non dal suicidio di Butterfly, ma dal suo disonore. Per tale motivo, nel momento in cui tutto è perduto, è proprio Suzuki che, con un grande coup de théatre, offre il pugnale alla sua padrona per poi attendere il suicidio di lei con la stessa ascetica tranquillità. Dunque, più che lo zio Bonzo, la vera depositaria della cultura del suo popolo è Suzuki: è lei la tradizione che, nata prima di Butterfly, le sopravvive immutata.

 

 

UNA CASA A SOFFIETTO

2In perfetta sintonia con le intenzioni del regista, la scenografia di Tiziano Santi evoca una “casa a soffietto” che non assolve a finalità oleografiche quanto piuttosto a intenti psicodinamici: la variabile proporzione tra spazio interno e spazio esterno diventa il riflesso dello spazio interiore di Butterfly, che estromette tutto ciò non le sia favorevole. E’ il caso del dialogo con Sharpless nel secondo atto, quando, attraverso il movimento delle pareti, la crescente distonia tra i due si traduce in una progressiva riduzione dello spazio a lui disponibile, complice il light design di Fiammetta Baldiserri. Lo sfondo è amplificato da un ponte praticabile, sospeso tra cielo e acqua. Lo stilizzato aspetto visivo si completa con la foggia orientaleggiante dei gradevoli e colorati costumi disegnati da Tommaso Lagattolla.

 

 

IL CAST

4Nella sera della prima, il faticosissimo ruolo della protagonista è stato affrontato dal soprano Alexia Voulgaridou con motivazione scenica da vera fuoriclasse, supportata da una voce non altrettanto spavalda, inizialmente in difficoltà nelle note acute: evitato saggiamente il Do diesis a conclusione di un non entusiasmante “Spira sul mare”, la cantante non ha potuto evitare un Do traballante alla fine del primo atto, seppur sorretta dall’unisono con il tenore. Negli atti successivi la voce si è riscaldata progressivamente risultando più omogenea in “Un bel dì vedremo” e nel finale dell’opera; molto emozionante il patos trasmesso dal duetto “della lettera” con il baritono.

La Suzuki del mezzosoprano Annunziata Vestri si è imposta all’attenzione del pubblico per il suo timbro di velluto associato a un phisique du role completamente al servizio dell’impostazione registica. Il tenore Angelo Villari, già applaudito a Lecce come Turiddu nella Cavalleria Rusticana del 2012, a Bari ha vestito i 6panni dell’odioso Pinkerton in maniera credibilissima, creando un personaggio che ha il fascino dell’impunito grazie anche a un timbro vocale sicuro e accattivante. Molto evidente il contrasto tra il suo cinismo e la sensibilità di Sharpless messa in luce dalla lodevole interpretazione del baritono Mario Cassi, il cui canto appassionato, come nelle intenzioni della partitura, dà senso drammatico a ogni parola: la sua esclamazione “quindici anni!” riesce a trasmettere al pubblico un senso quasi paterno di smarrimento e di angoscia. Molto efficace la caratterizzazione scenica e la resa vocale del ruolo di Goro da parte del tenore Francesco Castoro, mentre il baritono Marco Bussi tratteggia con timbro chiaro e motivazione scenica uno Yamadori dalle movenze lascive. Autorevole lo Zio Bonzo del basso Mikhail Korobeinikov. Molto ben assortite le parti comprimarie, interpretate con precisione: i tre baritoni Graziano De Pace, Gianfranco Cappelluti e Antonio Muserra hanno vestito i rispettivi panni di Yakusidé, Commissario Imperiale e Ufficiale del registro, il mezzosoprano Ivana Padovano è stata la Madre, mentre Zia e Cugina erano i soprani Francesca Bicchierri e Roberta Scalavino; il soprano Simona Di Capua interpretava il ruolo di miss Kate Pinkerton.

9 ringraziamentiL’Orchestra del Petruzzelli diretta da Giuseppe Finzi ha trasmesso il formidabile lirismo della partitura pucciniana evitando un’eccessiva enfasi grazie a tempi sempre sostenuti, sebbene a tratti sovrastasse la linea vocale. Il Coro istruito da Franco Sebastiani ha fornito un’ennesima prova di bravura e di preparazione scenico – vocale: da manuale l’esecuzione del celebre “coro a bocca chiusa”.

 

Marilù Mastrogiovanni
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