Lirica Lecce: Nabucco tra novità e tradizione

Lirica Lecce: Nabucco tra novità e tradizione

Dopo il “Barbiere” inaugurale, la Stagione Lirica leccese è proseguita con il “Nabucco” di Giuseppe Verdi (1813 – 1901), titolo che ha riscosso nelle serate del 20, 21 e 22 marzo l’unanime plauso da parte del pubblico dei melomani.

 

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foto di Samuele Vincenti

 

 

nabucco lecce

 

LA MEMORIA STORICA

scenografia NabuccoL’allestimento scenico curato da Carlo Antonio De Lucia, direttore artistico della Stagione leccese, prende spunto dalla trama e dalle intenzioni verdiane per ricordare non solo il Risorgimento italiano, ma anche i due conflitti mondiali a cent’anni dall’intervento dell’Italia nella Grande Guerra, affinché l’artificio scenico sia ancora una volta memoria storica. L’esecuzione dell’opera è stata perciò preceduta dalla Canzone del Piave e dall’Inno di Mameli, mentre durante il “Va’ pensiero” le immagini di Auschwitz sullo sfondo rievocavano la Shoah per non dimenticare la pagina più oscura della storia mondiale, supremo simbolo “dell’eterno massacro che ha nome guerra” (usando le parole di Oriana Fallaci). L’impianto scenografico ha mostrato per ogni momento dell’opera pochi particolari fortemente simbolici, quali la stella di Davide per il tempio di Gerusalemme o una grata con suggestivi giochi d’ombre all’inizio della quarta parte. Preziosi tessuti creavano gradevoli drappeggi per i costumi dei Babilonesi, differenziandoli dal bianco delle vesti ebraiche. Qualche ingenuità nella drammaturgia, come il fatto che Fenena, nel finale primo, rimanga immobile tra gli ebrei senza correre tra le braccia del padre, ragion per cui non si capisce perché Nabucco si senta libero di distruggere il tempio; oppure il paradossale aspetto anziano di Ismaele, contrapposto a quello decisamente giovanile del sovrano assiro.

 

UN’OPERA CORALE

nabucco lirica leccePremesso che nel “Nabucco” verdiano il coro assurge a dignità di protagonista assoluto, il Coro Lirico di Lecce guidato da Andrea Crastolla ha esibito una non comune professionalità. Presenti in ogni atto dell’opera, le masse corali hanno emozionato il pubblico trasmettendo intatta la ricchezza di colori di cui è intrisa la massacrante partitura, dai momenti di intimo sconforto a quelli di estrinseco furore, grazie a una formidabile vis scenica associata a un’eccellente qualità vocale. Bellissimo il bilanciamento delle sonorità durante “Gli arredi festivi”, quando l’ impeto della disperazione lascia il posto all’umbratile canto dei bassi (“i candidi veli, fanciulle, squarciate”): la melodia si fa sacra mentre le donne intonano un’accorata preghiera. All’inizio della terza parte si cambia momentaneamente registro, il coro diventa ruffiano e adulatorio nell’intonare una caricaturale marcetta (“E’ l’Assiria una regina”), ma poco dopo, nel celebre “Va’ pensiero”, lo spettatore può tornare a farsi commuovere da un’esecuzione giocata su un canto sommesso, concluso da un magnifico accordo a cappella che per fortuna la platea lascia esaurire completamente prima di esplodere Bastiaan Everinknell’applauso e nella richiesta di bis, puntualmente esaudita.

Accanto all’ottima prestazione del Coro, va affiancata una grande partecipazione da parte dell’Orchestra Sinfonica di Lecce diretta da Francesco Ledda, forse meno prodiga di colori, ma solida e puntuale. Dispiace che ancora una volta siano stati tagliati i Da Capo con Variazioni delle cabalette, secondo una prassi ormai obsoleta: tutto il repertorio del primo Verdi è ancora formalmente imparentato con il Belcanto e quindi non si capisce perché non potersi godere delle belle variazioni d’agilità nella cabaletta di Abigaille e in quella di Zaccaria. Purtroppo Lecce rimane a tutt’oggi solitario baluardo di famigerati tagli “di tradizione” ormai ingiustificati.

 

IL CAST VOCALEgianluca breda

Ernesto MorilloLa baldanzosa prestanza fisica del baritono olandese Bastiaan Everink (foto qui in alto) nei panni di Nabucco gli ha consentito una maggiore credibilità scenica nei momenti di furore guerriero rispetto a quelli in cui l’intima sofferenza del personaggio avrebbe richiesto un’adesione più matura e più partecipe da parte dell’interprete. La sua preghiera “Dio di Giuda” convince appieno grazie a un accento stentoreo che le conferisce una franca valenza profetica. Dal punto di vista vocale, accanto alla bellezza e alla potenza di un timbro squisitamente drammatico va notata una certa tendenza ad aprire troppo le vocali e un’intonazione non impeccabile nelle note acute.

Durante le tre repliche, si sono alternati nel ruolo di Zaccaria due interpreti eccezionali, sicuramente gli elementi migliori del cast: parliamo dei bassi Ernesto Morillo (a sinistra) e Gianluca Breda (a destra), entrambi scenicamente impagabili nel rendere tutta l’autorevolezza del personaggio con differenti qualità vocali.

Mentre Ernesto Morillo ha sfoderato una timbrica possente e perentoria che echeggiava la grande scuola russa, Gianluca Breda ha riscaldato l’uditorio con il calore e la pastosità di una tecnica squisitamente “all’italiana”. L’emissione di entrambi si è mostrata sorprendentemente uniforme per tutta l’estensione vocale, con un’accattivante bellezza delle note gravi. C’è da sperare di riascoltarli presto.

monia massetti

 

Nelle vesti di Abigaille il soprano Monia Massetti ha esibito personalità da vendere, trasmettendo intatta l’ambivalenza del tipico personaggio “cattivo”, in realtà privo di affetti domestici fondamentali quali l’amore paterno e l’amore coniugale. La sua voce, dal volume enorme, aveva il bel colore da soprano lirico, diventando un po’ stridula nelle tremende impennate acute che caratterizzano quest’impervio ruolo.

antonia cifrone

Nel secondo cast Antonia Cifrone si è rivelata interprete dalla personalità meno trascinante sul piano drammatico, con bel timbro vocale di volume più esile.

 

 

Voce importante e bella presenza scenica per il mezzosoprano Patrizia Patelmo alle prese con il ruolo di Fenena, sontuosa nel suo momento solistico “Oh dischiuso è il firmamento”.

Vecchieggiante per aspetto scenico e qualità vocali, il tenore Antonio De Palma ha interpretato il ruolo di Ismaele rivelandosi del tutto fuori luogo: la presenza di questo Ismaele dai capelli bianchi, per nulla aiutato dalla regia, strideva nel paradossale contrasto con la giovinezza di Nabucco e delle due donne. A ciò aggiungasi uno stile di canto non sgradevole, ma infarcito di portamenti, molto più simile a quello dei cantanti leggeri dei primi anni della radio che non a quello di un tenore lirico. Le cose non sono migliorate nel secondo cast, con la brutta emissione vocale di Gjorgi Cuckovski, che però almeno aveva un’attendibile presenza scenica.

emily de salveLa sorprendente imponenza scenico – vocale di Emily De Salve nei panni del Gran Sacerdote di Belo ha consentito un bel coup de théatre, ossia avere una pregevole voce baritonale dalle fattezze femminili che intelligentemente non sono state distorte dalla regia. Che poi si tratti di un Sacerdote o di una Sacerdotessa poco importa nella pagana Babilonia, rimanendo intatta l’autorevolezza che caratterizza questo ruolo piccolo, ma fondamentale, e che è stata lodevolmente messa a fuoco dalla cantante leccese, primo baritono transessuale nella storia della musica salvo ulteriori smentite.

Corretto il resto del cast: il soprano Lucia Conte ha interpretato con bella timbrica il ruolo di Anna, sostituita da Annalisa Ragione nella seconda serata; nel ruolo di Abdallo si alternavano i due tenori Simon Dongiovanni e Giuseppe Maiorano.

Marilù Mastrogiovanni
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