Io e Anna

Io e Anna

Anna mi ha insegnato che non serve un utero per essere mamma e non serve un parto per provare la gioia di avere un figlio.
Anna mi ha insegnato che non serve un funerale per provare il dolore di una perdita e non serve avere lo stesso sangue per appartenersi.
Anna non è il suo nome, ma lei voleva essere chiamata così. Ripudiava il suo.


Aveva 8 anni.
Aveva i capelli arruffati, gli occhi profondi, la forza di una volontà disperata in cerca della felicità e i segni indelebili ma invisibili della violenza subita, sul corpo, nel cuore.
Quando l’ho capito, dopo mesi di sofferenze e quando ha avuto il coraggio di dirlo alla sua mamma, che ero io; io, la sua mamma, ho denunciato.
Una denuncia che travolge tutti: l’inefficienza, l’indifferenza e l’omertà dei servizi sociali, le persone che hanno il suo stesso sangue, ma che non sono mai state la sua famiglia.


Anna è stata la mia figlia in affido per quasi un anno.
Quando ho denunciato, mi è stata tolta, dall’oggi al domani, due giorni prima di Natale, con i regali sotto l’albero e il vestito della festa appeso nell’armadio.
Mi chiamarono e mi dissero: “Se non acconsenti a ‘restituirla’, te la togliamo lo stesso ma andrà in una casa famiglia”.
Firmai.
Anna aveva bisogno di serenità e normalità.
Mentre la accompagnavo ai servizi sociali, con il vestito che avrebbe dovuto indossare per Natale e tutti i suoi giocattoli, cantavamo la nostra canzone a squarciagola, ridevamo e piangevamo.
E io le ripetevo, tra una canzone e l’altra: “Anna, chi sono io?”
“Sei la mia mamma”
“E come mi chiamo”?
“Marilù Mastrogiovanni”
“E che lavoro faccio”?
“La giornalista”
“Anna, non dimenticarlo mai. La tua mamma si chiama Marilù Mastrogiovanni. Quando mi vorrai basta cercarmi”.
Anna mi ha insegnato che non serve un funerale per dover elaborare un lutto.


Sono passati 8 anni. A settembre ne compirà 17.
Otto anni per avere la prima udienza, di primo grado. E’ giustizia questa?
Non l’ho più vista.
So, però che le abbiamo salvato la vita.
Da qualche parte, c’è un’altra mamma che la ama.
Oggi, questa mamma, farà fino in fondo il suo dovere: andrò a testimoniare contro i suoi orchi, li guarderò in faccia e dirò tutto quello che so e che ho visto e sentito con le mie orecchie, davanti ad un giudice.
Quando sarà grande, e vorrà seguire la scia del dolore che l’ha portata fin dove il destino e la sua grande forza di volontà l’hanno portata, troverà anche la scia di un amore grandissimo di una mamma che l’ha amata incondizionatamente, fino a correre il rischio di perderla pur di darle la vita.


Si, ad Anna ho dato la vita, senza partorirla.
Non serve un utero per essere mamma.

Marilù Mastrogiovanni
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