Non è amore se fa male. Rompiamo la catena di parole violente. In nome di Noemi

Non è amore se fa male. Rompiamo la catena di parole violente. In nome di Noemi

Le parole vengono meno, eppure bisogna trovarle. Quando lui 17 anni, uccide lei, 16 anni, e la nasconde sotto pesanti massi, nella campagna di Castrignano del Capo, vicina Leuca, finis terrae. Salento. Qui Noemi Durini ha perso la vita per mano dell’ex fidanzato che la madre della ragazza aveva già denunciato alla magistratura, chiedendo che gli venisse impedito di avvicinarsi alla figlia, alla sua famiglia, alla casa.

I magistrati avevano aperto un fascicolo per violenza privata, ma non è servito a nulla. Non è arrivata in tempo, la legge, a proteggere Noemi, che aveva ben chiara la differenza tra amore e violenza.

Il volto emaciato di una ragazza alla quale la mano di un giovane imbavaglia la bocca. Sul polso del ragazzo c'è un tatuaggio con la scritta 'Love?'. La foto sovrasta l'ultimo lungo post, quasi una poesia, che Noemi Durini, la ragazza di Specchia uccisa dal fidanzato 17enne il 3 settembre e trovata morta oggi in un pozzo a Castrignano dal Capo, ha condiviso su Facebook qualche giorno prima della scomparsa. "Non è amore se ti fa male. Non è amore - è scritto - se ti controlla. Non è amore se ti fa paura di essere ciò che sei. Non è amore, se ti picchia. Non è amore se ti umilia (...). Non è amore se mente costantemente, non è amore se ti diminuisce, se ti confronta, se ti fa sentire piccola. Il nome è abuso. E tu meriti l'amore. Molto amore. C'è vita fuori da una relazione abusiva. Fidati!"

Il volto emaciato di una ragazza alla quale la mano di un giovane imbavaglia la bocca. Sul polso del ragazzo c’è un tatuaggio con la scritta ‘Love?’. La foto sovrasta l’ultimo lungo post, quasi una poesia, che Noemi Durini, la ragazza di Specchia uccisa dal fidanzato 17enne il 3 settembre e trovata morta oggi in un pozzo a Castrignano dal Capo, ha condiviso su Facebook qualche giorno prima della scomparsa. “Non è amore se ti fa male. Non è amore – è scritto – se ti controlla. Non è amore se ti fa paura di essere ciò che sei. Non è amore, se ti picchia. Non è amore se ti umilia (…). Non è amore se mente costantemente, non è amore se ti diminuisce, se ti confronta, se ti fa sentire piccola. Il nome è abuso. E tu meriti l’amore. Molto amore. C’è vita fuori da una relazione abusiva. Fidati!”

Teniamolo a mente tutte noi e tutti noi, quando nei prossimi giorni scriveremo i necessari pezzi di cronaca. Non era un “fidanzatino”, come già sto leggendo su qualche giornale. E’ un assassino capace di uccidere. Non pubblichiamo le due foto accostate, di lei e di lui, realizzando il sogno violento dell’uomo che vuole eternamente legata a sé la ragazza, anche dopo la morte.

E non scriviamo che era “passione”, che “non voleva perderla”, che “non si rassegnava alla fine della relazione”. Sono tutte frasi dense di cultura patriarcale, che in fondo in fondo giustificano il femminicidio, che raccontano di una relazione in cui la donna è un oggetto da possedere.

Rompiamo per pietà questa lunga catena di parole violente, perché sennò saremo complici nel perpetuare questo impianto culturale feudale che l’assassino aveva già fatto suo, ad appena 17 anni.

E’, questa, la tragedia nella tragedia: l’orrore di assistere ad un modello tribale violento che va avanti, che si tramanda precocemente di padre in figlio e che miete vittime giovanissime.

La battaglia contro il femminicidio deve essere una battaglia di tutte e di tutti, perché siamo tutte e tutti complici e tutte e tutti creatori di quello schema culturale malato che è alla base della violenza di genere. Che va riconosciuta, detta, e raccontata con le parole giuste. Anche in nome di Noemi. Che sapeva che “non è amore se fa male”.

Marilù Mastrogiovanni
Facebook6k
Twitter3k
YouTube273