
Non aderirò alla crociata contro Feltri. Non chiederò urlando che venga radiato dall’Ordine dei giornalisti. Lo dico subito e lo faccio, eccezionalmente, con le stesse parole che userebbe lui, parole a cui non sono avvezza: Feltri mi fa cagare. E’ un furbacchione senza deontologia, sessista e razzista. Una bella penna e una intelligenza acuta, ma vocate al male.
Detto questo, continuo.
Sono per l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, ma sono iscritta, e ho sudato per sostenere l’esame di Stato e l’iscrizione all’albo dei giornalisti professionisti perché era l’unico modo per praticare il mestiere più bello del mondo, nelle regole. E anche se sono contraria all’Ordine, starò nelle regole e mi batterò fino all’ultimo perché chi ha diritto ad essere iscritto, vi rimanga, rispettando la deontologia professionale che ci impone, prima di tutto, il rispetto dell’Altro.
E fino all’ultimo rispetterò i valori deontologici, insegnandoli anche, perché è su quelli che si basa il nostro essere giornalisti, non sull’appartenenza a sistemi di stampo fascista (l’Albo dei giornalisti professionisti fu istituito nel 1925, sotto il governo Mussolini. Da allora le sanzioni che si comminano ad un giornalista giudicato colpevole di aver disonorato al professione sono le stesse di oggi: l’avvertimento; la sospensione per un numero di mesi fino a sei; la radiazione dall’Albo. Vi rendete conto?).
Nel resto del mondo e d’Europa, essere o non essere giornalisti passa invece dalla formazione universitaria e dal “farlo”: se sei laureato e specializzato in Giornalismo, sei abilitato a praticare la professione, altrimenti no. Altrove, ci sono poi altri sistemi di autoregolamentazione e controllo a cui guardare, molto più efficaci della Santa inquisizione interna all’Ordine dei giornalisti italiani. Ma forse questo necessiterebbe di un background culturale diverso, più legalitario di quello italiano. Noi, forse, abbiamo ancora bisogno delle bacchettate sulle manine da parte di un Ordine giudicante. Forse non è ancora il momento.
Dunque, tornando a Feltri: se ha offeso i terroni – a cui orgogliosamente appartengo sia per collocazione geografica sia per origini, contadine – e non ha rispettato “l’Altro”, come impone la nostra deontologia professionale lo deciderà il Consiglio di disciplina: e deciderà anche quale sanzione comminare.

I fomentatori dell’odio contro Feltri e la raccolta firme per radiarlo dall’Ordine attingono alla stessa strategia dell’odio che essi stessi denunciano. Gravissimo che molti siano giornalisti professionisti.
Feltri è così antipatico che mi fa simpatia. E le sue boutade sui terroni sono utili per le vignette satiriche e i meme sui social. Non per altro.
Non servono neanche a incentivare l’odio razziale, perché sono così esplicite ed estremiste, che fanno scattare immediatamente gli anticorpi democratici di cui siamo dotati. Inoltre, ai tanti giornalisti che hanno firmato la petizione, ricordo che perfino dire “sporco negro” non è più un reato. E’ stato depenalizzato da quattro anni. Esiste il reato di odio razziale ai fini di propaganda: è la propaganda il discrimine che configura il reato (L. n. 9 ottobre 1967, n. 962), ossia
“un’attività rivolta a manifestare pubblicamente le personali convinzioni con il fine di condizionare l’opinione pubblica e modificare le idee e i comportamenti dei destinatari”.
E’ questo il caso di Feltri? Essendo giornalista il reato potrebbe configurarsi, perché il giornalista per professione, con il suo lavoro, anche quello di opinionista come nel caso di Feltri “forma” l’opinione pubblica. E allora Salvini? Feltri avrebbe compiuto un reato perché giornalista mentre Salvini, che incita quotidianamente all’odio raziale no? Anche lui è giornalista ma l’odio razziale a scopo di propaganda è esplicitato in quanto politico. Dunque i reati cambiano a seconda della professione che si svolge? Questo è anticostituzionale.
Vedremo.
La Suprema Corte di Cassazione, con un’importante pronuncia, ha stabilito che
“Anche un’isolata manifestazione a contenuto razzista, se resa in luogo pubblico o aperto al pubblico, può integrare il reato in commento”.
Feltri si è subito giustificato: intendeva dire inferiori economicamente, non in senso lato. Il diritto di rettifica esiste, e se ne è avvalso nei tempi di legge. E’ una pezza a colore? Io credo di sì. Ma io non conto. Conta la legge e lui, secondo me, ha agito nella legge. Nella prossima puntata Giordano riprenderà l’argomento, lui rettificherà, a norma di legge, come ha già fatto sui social, spiegando il senso della sua affermazione e tutto finirà lì.
Tutto questo per dire che passi che i leoni da tastiera non conoscano il nostro ordinamento, ma che l’abbiano rimosso i giornalisti professionisti è un altro segnale della discesa verso le fogne della nostra professione. Se non conosciamo i diritti che per mestiere dobbiamo difendere, che ci stiamo a fare?
E’ nostro dovere dare una chiave di lettura, per formare un’opinione pubblica consapevole, sempre più attratta dalle Bestie dietro i Feltri di turno.
Allora: facciamolo. Serve il nostro punto di vista, verificato, responsabile. Non gogne.
Non serve scomodare il pastore tedesco Martin Niemöller per ricordare a tutti che prima di questo passo prima o poi toccherà a noi, “zingari, ebrei, omosessuali, comunisti” e ci verranno a prendere, uno ad uno. Finché non ci sarà nessuno da prendere.
Dunque non mi legherò a quella schiera. Libera, eretica, legalitaria, antifascista, sempre.