Così cancelleranno i Centri antiviolenza e pretenderanno pure il “grazie”

Così cancelleranno i Centri antiviolenza e pretenderanno pure il “grazie”

di Marilù Mastrogiovanni

Nascono i CUAV, centri per uomini autori di violenza. In Puglia ne nasceranno sei, uno per provincia

All’interno del mondo femminista è un tema molto divisivo: il rischio (reale) è che si tolgano soldi dai CAV, i Centri antiviolenza per le donne, e si diano ai Centri per i maschi maltrattanti.

Un altro rischio è che il maschio maltrattante, allontanato dalla donna assistita dai Centri antiviolenza, o allontanato dall’autorità giudiziaria, possa presentare un certificato dei CUAV, per essere riabilitato dall’autorità giudiziaria e avere un vantaggio nelle cause di separazione e nelle cause penali intentate dalla donna (anche violentata, seviziata, ecc).

Tutto questo è molto rischioso.

In una società fortemente patriarcale come la nostra, in cui alle donne violentate, ancora e ancora, si chiede “come eri vestita”, in una società in cui le donne che denunciano le violenze domestiche subiscono processi alle intenzioni perché “mamme maligne” che vogliono separare i figli dai padri, ecco, nella nostra società così profondamente maschilista e sessista, siamo sicuri sicuri che i Centri di recupero per gli uomini maltrattanti, non saranno un boomerang per le donne?

E ancora: se, come sembra, molti di quelli che oggi sono Centri antiviolenza per le donne, si candideranno a gestire anche i Centri per uomini maltrattanti, siamo sicuri che le donne saranno “al sicuro” in quel luogo? Che non li incontreranno? Che non subiranno pressioni perché vengano ricuciti i rapporti? Che le operatrici che la mattina aiutano la donna poi il pomeriggio non cambino la giacchetta e aiutino l’uomo?

E ancora: i Centri antiviolenza, quelli che secondo me possono definirsi tali, sono luoghi laici e femministi di donne per le donne, luoghi in cui le donne si autodeterminano e imparano ad autodeterminarsi grazie all’auto-mutuo-aiuto delle donne.

Aprendo i Centri per gli uomini maltrattanti, si sposta l’asse sul concetto di “servizio”. Diventano centri di erogazione servizi, quelli, per gli uomini, e questi, per le donne. Diventano centri assistenziali, magari di tipo confessionale – molti CAV lo sono già – e poi verranno svuotati, piano piano.

Come hanno fatto con i consultori: la legge 405 prevedeva che fossero luoghi di autodeterminazione delle donne, centri di auto-mutuo-aiuto, delle donne per le donne. Li hanno snaturati: la legge è rimasta, ma l’hanno svuotata dei principi ispiratori, trasformandoli in centri assistenziali per servizi alle donne. E’ bastano tagliare i fondi, togliere personale, interrompere il servizio, invocando l’obiezione di coscienza, e i consultori hanno smesso, di fatto di esistere. Sono scatole quasi vuote.

Perché se il Centro antiviolenza diventa un servizio come lo sono diventati i consultori, e non un luogo autogestito finanziato dallo Stato, togliendo un bel giorno i fondi, si cancella con un colpo di spugna il “servizio”.

Non vorrei che iniziando ad aprire i Centri per uomini maltrattanti, che sono di fatto già dei centri-servizi, si intraprendesse lo stesso percorso anche per i Centri antiviolenza per le donne.

Voi che cosa ne pensate?

Maria Luisa Toto del Centro Renata Fonte di Lecce è molto critica.

Qui la intervista Thomas Pistoia.

Marilù Mastrogiovanni
Facebook6k
Twitter3k
YouTube273