Tap e gli scemi del villaggio globale

no tap

di Francesco Ria (Ivan il matto)

no tap Ho provato a seguire la discussione sulla TAP, lo confesso: non mi appassiona. Come al solito giornali e piazze sono piene di sapientoni che si riempiono la bocca di parole delle quali fino a due ore prima non conoscevano nemmeno l’esistenza. La saggezza ai tempi di wikipedia è cosa alla portata di tutti, almeno apparentemente.

Come finirà? Con l’opera che si farà e la provincia di Lecce che non ne ricaverà niente! Nemmeno la possibilità di seguire da vicino i lavori e il funzionamento dell’impianto per sorvegliare su eventuali anomalie.

 

Una premessa è doverosa: se l’opera è veramente strategica e si muovono interessi forti, si porterà a termine senza minimamente fregarsene dei tanti professoroni che affollano le agorà degli ormai morenti paesi salentini (morenti forse proprio perché i nostri cari soloni non si sono mai aperti al futuro). Gli ultimi trent’anni di presunta sensibilità ambientalista del Salento, ci hanno portato ad avere Cerano e rifiuti tossici un po’ ovunque. Forse è il caso di cambiare strategia. Mi rendo conto di come non sia usuale dare ascolto ai veri esperti in un Paese come l’Italia dove, quando si tratta di discutere di nucleare, Bruno Vespa invita Alba Parietti a Porta a Porta e, insieme, decidono del futuro energetico della fu quinta economia mondiale. Ma noi uno sforzo dovremmo farlo.

Non voglio commettere l’errore dei miei concittadini che si distinguono per eloquio agli angoli delle piazze (i cosiddetti pitteculi) e non entro nel merito delle questioni tecniche. Propongo solo un diverso approccio.

Il muro contro muro farà semplicemente vincere il più forte. Ovvero chi ha più soldi. Ovvero il consorzio che vuole realizzare l’opera. Ma, dopo una guerra, chi vince si prende tutto, così i tanti ambientalisti della domenica non avranno più la possibilità di intavolare una trattativa, di chiedere garanzie. Il territorio, in pratica, si vedrà imporre un’opera sulla quale non avrà nessun controllo.

Cosa fare allora? Accettare e subire passivamente? Assolutamente no.

Primo. Individuare un gruppo di esperti (veri, non l’ingegnere fallito di paese che aspetta queste occasioni per strappare la foto sul giornale) condivisi tra le parti che possano avere accesso al progetto per analizzarlo e discuterlo.

Secondo. Fissare e pubblicizzare apertamente le ricadute in termini economici sul territorio. Indicando già la loro destinazione.

Terzo. Definire un accordo etico secondo il quale il consorzio e nessuna azienda a loro collegata potrà assumere o offrire consulenze a parenti dei soggetti che entrano a far parte della discussione (politici, responsabili delle associazioni, esperti, ecc.).

Quarto. Definire un accordo che preveda il controllo periodico dell’opera durante i lavori di realizzazione e durante il normale funzionamento.

Quinto. Impegno da parte della stampa a dare spazio solo alle fonti più esperte e autorevoli in materia (l’associazione dei cacciatori non è competente in materia, la LILT non è competente in materia, il Bar dello sport nemmeno).

O si sposta la discussione ad un livello più alto e onesto, oppure, come sempre, faranno quello che vogliono della nostra terra, qualcuno si arricchirà anche tra quelli che oggi fanno finta di “contestare” e i benefici ricadranno altrove.

Da decenni ci trattano come gli scemi del villaggio globale: forse è il momento di dimostrarsi interlocutori maturi, validi e competenti. Sennò, sempre poppiti rimaniamo.

Marilù Mastrogiovanni
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