Scrive il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio, sulla sua pagina Facebook che il Governo sta pianificando di potenziare la rete degli asili nido nelle regioni del Sud, dove ancora più che al nord le donne lasciano il lavoro dopo il secondo figlio. Aprire nuovi asili nido è il primo passo, necessario per sprigionare quel 7% del pil in più che in Italia si produrrebbe facendo lavorare le donne che sono a casa ad accudire i figli.
In Europa se le donne che sono a casa lavorassero, si avrebbe un 12% di pil in più. Lo scrive l’Ocse.
Bene dunque questo “primo passo” del Governo. Vedremo come va a finire.
Il secondo passo però è lavorare sulle mamme e sugli stereotipi di cui sono vittime inconsapevoli. In Italia più che in Europa e al Sud più che al Nord.
Il lavoro di cura a loro delegato anche quando sono in due a lavorare; le faccende domestiche che continuano ad essere roba da femmine; soprattutto la pressione psicologica (e il relativo senso di colpa) che deriva dalla non completa accettazione sociale e familiare del fatto che “lasci il bambino al nido-o dalla nonna-o dalla babysitter- per il lavoro”.
Ecco, la questione è proprio questa ed è questo stereotipo che va scardinato: per le donne la convenzione sociale impone che ci siano i figli e poi il lavoro, mentre gli uomini non vengono posti di fronte a questa scelta. Il lavoro nobilita l’uomo, pare, la donna no. La depriva. Di che cosa? Del vero scopo per cui è nata: procreare e prendersi cura della prole.
Nel 2015 nell’immaginario collettivo siamo ancora come le Veneri di Parabita, ipertrofiche nei simboli della fertilità, pancia, seno, natiche, ma con una testa appena abbozzata.
Il problema è che serve un grande lavoro su noi stesse per convincerci che così non è. E’ da noi stesse e dagli stereotipi che subiamo fin da piccole, che dobbiamo emanciparci.
Siamo pancia, seno, natiche, ma siamo anche testa. E non si sceglie l’una o l’altra. Perché siamo l’una e anche l’altra.
Se l’uomo che va a lavorare deve farlo, la donna, nella percezione sociale, lo sta scegliendo, perché potrebbe anche stare a casa. A fare la cosa più importante.
Alla donna si chiede che ci siano prima i figli e poi il lavoro e non i figli e anche il lavoro.
Questo significa orari flessibili, congedi parentali, telelavoro, asili nido, tempo prolungato per le scuole fino alla maturità. Soluzioni da incentivare sia per l’uomo sia per la donna. Perché la conciliazione sia reale e non si trasformi di fatto in un sacrificio chiesto solo alle mamme.
Un nuovo ghetto per le donne e mamme che lavorano, costruito con la scusa della modernità.
Ps. Dedicato alla mia amica Isabella Cioni, caporedattrice di Focus e responsabile di Focus D&R e anche mamma. E’ lei la teorizzatrice della regola del “e anche”. Provatela, vi cambierà ogni prospettiva.