Per l’innovazione pugliese la strada dei cluster tecnologici

Per l’innovazione pugliese la strada dei cluster tecnologici

(da Il Sole 24ore del 15/9/2015, Rapporto Puglia)

di Marilù Mastrogiovanni

Punta su 19 “cluster tecnologici” la Strategia regionale per la specializzazione intelligente “Smart Puglia 2020”, che guarda a ricerca e innovazione per il ciclo di programmazione 2014-2020 legato ai fondi europei. Diciannove progetti che – secondo le previsioni – sprigioneranno 45milioni di investimenti in ricerca industriale e sviluppo sperimentale, di cui 30 milioni di fondi comunitari. I numeri parlano di una fitta rete di collaborazioni tra imprese, organismi di ricerca e reti di laboratori: 138 soggetti-partner, di cui 89 imprese (78 Pmi e 11 grandi imprese), e 49 partecipazioni di 12 organismi di ricerca e reti. Cinque le start-up e 15 le spin-off, cinque le imprese femminili. I progetti ammessi prevedono l’assunzione di 100 giovani ricercatori dopo l’avvio delle attività.

Smart Puglia 2020 vuole potenziare le “masse critiche” di competenze in tre aree di innovazione: manifattura sostenibile, salute dell’uomo e dell’ambiente, comunità digitali creative ed inclusive. L’iniziativa dei cluster tecnologici è tra le sette linee di intervento del Piano di sviluppo 2014-2020 a cui la Regione Puglia ha dato priorità, per un budget totale di 292,3 milioni. Tra le ultime linee di finanziamento attivate – oltre ai cluster – anche duSole-p1e “OpenLabs”, bandi destinati alla ricerca nelle imprese, stilati con il criterio degli appalti pre-commerciali e finalizzati a risolvere due emergenze ambientali: da una parte l’annoso problema delle perdite idriche delle tubazioni dell’Acquedotto pugliese, la rete idrica più grande d’Europa, dall’altra a ridurre e riutilizzare i fanghi di depurazione. “I nuovi strumenti – dice Loredana Capone, confermata assessora allo Sviluppo economico nella giunta regionale ora guidata da Michele Emiliano – rappresentano per le aziende pugliesi opportunità d’investimento per innovare processi e prodotti, fare ricerca industriale e sviluppo sperimentale, internazionalizzare, lanciarsi nell’e-business e diventare più competitive sui mercati. Per il territorio sono strumenti per l’attrazione degli investimenti, garantendo nuove opportunità di sviluppo e di lavoro; per i lavoratori sono occasioni di buona occupazione perché aiutano a mantenere i posti di lavoro esistenti e a realizzarne di nuovi”. In questo processo virtuoso le Università hanno un ruolo primario: sono in fatti i centri di ricerca a ideare i progetti poi presentati dalle aziende, le quali però spesso arrancano ancora nella fase di industrializzazione dei prototipi e successivo lancio sul mercato. Sara Invitto, del DiSTeBA, il Dipartimento di scienze e tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento, è titolare di due brevetti per l’attività della corteccia cerebrale e con i Cnr Nano ha avviato progetti su realtà virtuale ed entertainment in ambito museale. Ora con i cluster tecnologici svilupperà un progetto per un sensore tattile.

Altro esempio che nasce dall’idea di rete è quello di Marina De Tommaso, della facoltà di Medicina dell’Università di Bari, che porta avanti progetti legati a neuroscienze e realtà virtuale per la prevenzione delle cadute degli anziani. I prototipi che nasceranno dai cluster tecnologici dovranno poi superare la prova del fuoco dello sviluppo precompetitivo e del time to market. Una sfida che, secondo le ricercatrici, si potrà vincere con ulteriori linee di finanziamento.

Marilù Mastrogiovanni
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