
Ho finito di scrivere un progetto per partecipare ad un bando europeo.
Tra le altre cose, il Parlamento UE ti chiede di dimostrare che il tuo progetto è sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale.
Io ho dimostrato che lo è nella maniera tradizionale: ho dichiarato che il carbon footprint (l’impronta ecologica, cioè l’impatto ambientale) del progetto è pari a zero: massima digitalizzazione, quasi nessun uso di carta, viaggi in treno e non in aereo e per di più in seconda classe, lavoratrici e lavoratori assunti con contratto collettivo nazionale.
Però mi sono chiesta: per scriverlo, ho usato un’infinità di applicazioni. Chi le produce, quanto è pesante il loro “carbon footprint”? Ho usato Word, Excel, Adobe, per scriverlo e impaginarlo; i social Whatsapp e Google per lo scambio dei documenti, le chiamate, il drive per il repository; ho usato OpenAI Chat GPT4 per trasformare il testo in tabelle; ho tradotto dall’italiano all’inglese con DeepL e poi ho chiesto a Chat GPT4 di rivedere la traduzione in British english; ho usato Venngage per realizzare infografiche e workflow. E’ un’applicazione che ha ChatGPT4 incorporata, quindi rileva automaticamente gli errori di testo e ti sciacqua nella Senna l’inglese.
Già così, qual è stata la carbon footprint del mio progetto?
Sappiamo che una conversazione di una ventina di domande con ChatGPT3 consuma mezzo litro d’acqua. La ricerca è stata pubblicata dall’Università della California Riverside e di Arlington, in Texas.
Una sola conversazione consuma un terzo del fabbisogno idrico di una persona.
Google non è da meno. I suoi data center nel 2021. Hanno utilizzato in tutto 12,7 miliardi di acqua dolce, di cui il 90% era potabile.
Quale acqua, da dove l’hanno attinta, l’hanno sottratta a popolazioni e territori? Se si, quali?
Sono domande che devono avere una risposta ed è necessario responsabilizzare anche sull’impatto sociale ed ecologico delle ICT.
IO ho dichiarato che nel progetto tutti i contratti rispetteranno il contratto collettivo nazionale del settore giornalistico digitale, ANSO-FNSI.
Ma OpenAI Chat GPT, che ho usato, garantiscono la sostenibilità sociale delle loro applicazione?
La rivista “Time” ha rivelato che Open AI ha affidato a Sama, un’azienda kenyota che si occupa di “intelligenza artificiale etica”, il compito di etichettare testi e immagini relative a pedofilia, violenze varie, turpiloquio, e ogni male possibile che si pesca nel web, per poi ripulire la scrittura di Chat GPT. L’etichettamento dei materiali, che siano parole o immagini, come “non utilizzabili”, serve a fare in modo che Chat GPT3 alla domanda : “Parlami dei Ricchi e poveri” non ti risponda “Va**anc**lo non lo so”.
Affinché sia gentile con noi, Open AI, attraverso Sama, ha sfruttato 50mila lavoratori di Kenya, Uganda e India, pagati 170 euro al mese, 1, 32 dollari l’ora, provocando loro traumi indelebili per essere stati sottoposti (sotto ricatto economico) alla visione di scene e descrizioni atroci.
Ma noi siamo in Europa, e vogliamo il bollino verde dei buoni, quindi tutto questo lo lasciamo al di là della sponda Sud del Mediterraneo, dove buttiamo a mare persone e bollini etici.
Intanto, sei ragazze e ragazzi portoghesi tra gli 11 e i 24 anni hanno portato 32 Stati europei di fronte alla CEDU, la Corte Europea per i diritti dell’Uomo (che dovrebbe cambiare nome, non Uomo ma Persona). Il motivo? Secondo i ragazzi e le ragazze, la EU non ha rispettato gli obblighi comunitari per mitigare il cambiamento climatico, e questo ha comportato, non solo un grave danno all’ecosistema portoghese ma anche alla loro salute mentale.
E anche io non mi sento tanto bene, sapendo quanto pesante è l’impronta carbonica occulta e l’impatto sociale della mia scrittura.