Minacce verso le giornaliste: una forma di “violenza di genere”

Minacce verso le giornaliste: una forma di “violenza di genere”

di Marilù Mastrogiovanni

Le giornaliste che subiscono minacce a causa del loro lavoro, e mentre svolgono il loro lavoro, sono in aumento. Lo dicono i dati elaborati da Ossigeno per l’Informazione, divulgati in occasione dell’8 marzo, giornata internazionale per i diritti delle donne.

I DATI. Le giornaliste che nel 2021 sono state oggetto di una qualche forma di minaccia o intimidazione sono 105, il 27% dei 384 operatori dell’informazione monitorati da Ossigeno.

Curva crescente – scrive Ossigeno – rispetto agli anni più recenti: nel 2021 le operatrici dell’informazione minacciate rappresentavano il 26%, nel 2020 il 22%, nel 2019 il 23%, nel 2018 il 21%.

Il dato del 2021 è il più alto mai registrato da Ossigeno dal 2006, anno in cui l’organizzazione non governativa ha iniziato il monitoraggio sulle minacce ai giornalisti.

Dei 105 casi di minacce e intimidazioni indirizzate alle giornaliste, Ossigeno ha potuto analizzarne nel dettaglio 33.

“Dall’analisi – scrive Grazia Attolini di Ossigeno – risulta che sono le querele cosiddette temerarie a colpire le donne che fanno informazione. Il ricorso all’abuso di denunce e azioni legali risulta, infatti, per il 2021 la tipologia di minaccia più frequente (pari al 55%): nel 2020 si era registrato un netto calo, pari al 6%, invece nel 2019 si attestava al 33%. Le aggressioni fisiche e verbali (pari al 18%) sono la seconda tipologia di minaccia più diffusa, ma sono diminuite rispetto all’anno precedente (nel 2021 erano il 26%, nel 2019 invece rappresentavano solo il 10%). Gli avvertimenti (insulti, minacce di morte, telefonate minatorie), che nel 2020 erano pari al 48% (nel 2019 il 45%), calano al 15%; l’ostacolato accesso all’informazione conta pochi casi e si attesta al 12%. La regione in cui si registra il numero maggiore di operatrici dell’informazione minacciate è il Lazio (33%), in tendenza con il dato nazionale complessivo. Seguono con eguale incidenza Puglia, Sicilia e Lombardia (12%). Invece le regioni in cui si registra la più alta pressione intimidatoria (intesa come percentuale di minacciati sulla popolazione giornalistica locale) sono la Sicilia e la Calabria”.

Ossigeno ha iniziato il suo lavoro di monitoraggio nel 2006 e dal 2018, su sollecitazione del Forum delle giornaliste del Mediterraneo, ha introdotto una lettura in chiave di genere delle minacce, divulgando i dati al Forum delle giornaliste del Mediterraneo, il 25 novembre, Giornata internazionale internazionale contro la violenza sulle donne.

A partire da quest’anno il Forum delle giornaliste del Mediterraneo analizzerà le minacce verso le giornaliste, monitorate da Ossigeno, per far emergere la specificità di genere che le caratterizza e il sessismo e la cultura patriarcale che le genera.

Lo faremo, partendo dalle nostre competenze sui gender studies, col metodo scientfico che da oltre un decennio caratterizza il monitoraggio dell’Osservatorio sui giornalisti e le giornaliste minacciate diretto da Alberto Spampinato: basandoci sul fact checking, per scandagliare in profondità al fenomeno.

Lo ha annunciato Ossigeno nel comunicato stampa con cui ha dato la notizia dell’avvio del progetto Ossigeno M.A.P. (Monitor Assist and Protect), realizzato in collaborazione con UNESCO, con il contributo del GMDF (Global Media Defense Fund), il fondo creato nell’ambito della campagna globale per la libertà dei media nel quadro del piano d’azione dell’ONU per la sicurezza dei giornalisti e la tematica dell’impunità.

Ne ho parlato in occasione del webinar organizzato l’8 marzo dall’organizzazione internazionale Media Defence, con IWMF (International Women media foundation).

All’incontro, moderato da Jeannette smith di Media Defence, hanno partecipato, dalla Colombia, Maria Paula Martinez Concha di FLIP (Colombia foundation for press freedom),  dall’Inghilterra Ela Stapley, di IWMF.

E’ necessario individuare nelle minacce verso le giornaliste, quelle caratterizzabili come una forma di violenza di genere.

E’ dura da ammettere, è difficile dirlo, ma nella maggior parte dei casi, quella di cui siamo vittime, mentre svolgiamo il nostro lavoro e a causa del nostro lavoro, è violenza di genere.

Ho detto pubblicamente che questo tipo di violenza di genere, deve essere riconosciuta dalla legge come tale. Perché solo se verrà riconosciuta potremo difenderci nelle aule di giustizia come è giusto che sia, potremo far condannare chi ci minaccia e usa violenza contro di noi. Potremo essere risarcite come giornaliste e come donne. Le associazioni femministe, i centri antiviolenza, le consigliere di parità, le Istituzioni, potranno essere ammesse come parte civile nei processi: ora non accade perché “non è violenza di genere”. E’ accaduto a me.

Per questo ho parlato delle mia esperienza, secondo una pratica femminista molto efficace: partire dal sé e poi condividere, e poi impegnarsi perché tutte possano beneficiare della nostra esperienza, dandoci soccorso e mutuo aiuto.

La questione è delicata, ma inizia qui una nuova fase che deve portarci tutte, tutte le giornaliste, ad avere maggiori diritti e maggiori frecce nel nostro arco per poterci difendere.

L’obiettivo finale è sempre lo stesso: essere libere di autodeterminarci nel nostro lavoro e anche attraverso il nostro lavoro, senza essere oggetto di stereotipi e discriminazioni.

Libere le donne, liberi tutti.

Marilù Mastrogiovanni
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