
Un’altra querela. Questa volta già arrivata in fase di richiesta di archiviazione
Sto leggendo kilate di sterco: le parole di Tommaso Montedoro: assassino pluriomicida, ladro, rapinatore, spacciatore, riciclatore di denaro sporco di sangue, truffatore, mafioso. Ora collaboratore di giustizia.
Ho il vomito a leggere di come la popolazione di Casarano (Lecce), lo omaggiava, lo adulava, lo rispettava, insieme all’altro boss Augustino Potenza, ucciso a colpi di kalashnikov. Tutto contenuto nei verbali pubblici dell’esame del procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi.
In quel paese c’era perfino chi millantava un’amicizia stretta con questo criminale, a garanzia di un affare o semplicemente per farsi rispettare incutendo paura.
Mi sto preparando all’interrogatorio di oggi.
Suonano alla porta. È un’ennesima notifica. Lo stesso carabiniere, persona gentile, fiduciosa nello Stato ma realista. Ormai chiacchieriamo e ci regaliamo solidarietà.
Questa volta è portatore di una buona notizia: una richiesta di archiviazione per un’ennesima querela, di cui finora non ho saputo nulla.
È riportato solo il primo nome dei vari querelanti: Gianni Stefano + altri. Il primo cittadino di quel paese.
Gianni Stefano + altri si sono opposti alla richiesta di archiviazione del pm (non so ancora chi sia). Non conosco il motivo della querela, ma posso immaginarlo.
Mi è stato perfino assegnato un avvocato d’ufficio, che non conosco, che non ho scelto.
Mi comunicano che ieri (sic!) ci sarebbe stata un’udienza in camera di consiglio per discutere dell’archiviazione e che è rimandata ad altra data.
Va bene.
Ho ormai un’altra vita, all’interno delle procure, che va avanti a prescindere da me.
Questa volta comunque la notizia è buona. Questa volta la procura di Lecce ha fatto le indagini, non mi ha chiesto di presentare memorie, non mi ha imposto di essere interrogata, è andata avanti, ha verificato, ha chiesto l’archiviazione, i querelanti si sono opposti. Tutto regolare. A parte che ieri ci sarebbe stata un’udienza e me l’hanno detto oggi. Ma queste sono fesserie.
Andiamo avanti.
Surfiamo sulle kilate di sterco.
Il carabiniere gentile, che conosce la mia situazione, mi dice sull’uscio:
“Si guardi le spalle, perché nessuno gliele guarda. Noi tutti siamo numeri e i numeri non contano nulla. Anzi, se li fanno fuori è meglio”.
Lo ringrazio.
Pensando che siamo numeri si, ma numeri periodici, indefinibili se non all’infinito. Ogni numero è incastonato in una lunga catena che si tiene stretta, all’infinito, e si definisce nell’indeterminatezza.
Mi piace molto questo senso di indeterminatezza.
Mi determina e mi caratterizza. Un numero che compone una lunga catena periodica e infinita. Però quel numero, porca miseria, e come se lo fa il suo dovere di frammento sub decimale ma necessario!
Poi mi dice: “Continui comunque a fare il suo dovere. Tutti noi dobbiamo farlo”.
“Lo farò”. Gli sorrido e chiudo la porta.
Sento l’ascensore che si apre.
Mi metto a scrivere. Eccomi qui, sub decimale numero periodico. Ma ferma, al mio posto, in una lunga catena di numeri periodici che si tengono stretti facendo il loro dovere.