La tentazione di settembre

La tentazione di settembre

Primo giorno di lavoro dopo le vacanze.

Apro la Pec e trovo la seguente mail.

“Gentile Direttrice,

La Sua mi coglie alquanto sorpresa.
Come può immaginare, identica richiesta è stata formulata ad altre testate giornalistiche e tutte quelle che hanno risposto sino ad ora (ben 5), hanno cancellato e de indicizzato gli articoli ex art 17 GDPR in quanto la notizia è ormai obsoleta (oltre 3 anni) ed il mio assistito ha diritto all’oblio. Nessuna ha invocato la censura.
In via transattiva e solo per evitare un ricorso al garante, Le propongo di sostituire nell’articolo il nome e cognome del sig. XY con le iniziali. In questo modo egli otterrà l’oblio e l’articolo rimarrà online evitando ogni rischio di censura.
Le chiedo cortesemente di volermi contattare al numero 123456 per definire la vicenda in modo condiviso”
.

Non è la prima e non sarà l’ultima. Anzi, sono sempre più frequenti.

La mia risposta è sempre la stessa: nessuna cancellazione, perché equivale a censura (ovviamente fornisco dettagliata citazione delle norme e invito a rivolgersi a Google per la deindicizzazione dell’articolo, come la legislazione europea consente. Questo è un altro argomento spinoso, ma tant’è).

Sono sicura che le 5 testate che ha citato l’avvocato non hanno davvero cancellato l’articolo in questione.

Sono sicura? Faccio bene ad esserlo?

In quanti sono disposti a difendere il diritto dei cittadini ad essere informati, a qualunque costo?

Questo è un esempio plastico di come il vostro diritto ricada INTERAMENTE sulle spalle di noi giornalisti, che cerchiamo e difendiamo la “giustizia e la verità”, per conto vostro.

E se le spalle sono fragili, si piegano. La schiena, si spezza.

Che vuoi che sia? Un articolo su fatti di provincia, in fondo. A chi interessa? Il processo è in corso e ci sono tanti modi per raccontarlo. Per esempio mettendo solo le iniziali dei nomi.

Che vuoi che sia?

Rimane solo tra me e l’avvocato, no?

Tolgo il nome e metto le iniziali.

Dai, “transiamo”.

Rimane tra me e te.
Facile no?
Così evito altre rotture.

Tanto, non ho padroni, sono l’editrice di me stessa, decido io.

Me, myself and I, davanti allo specchio. Rimarrebbe tra me e me.

Invece proprio questo è il mio lavoro.

Dire “no” e non girarmi mai dall’altra parte.

Costa fatica.

Soprattutto quando hai ancora il sale sulla pelle e i neuroni rilassati, voglia di stare ancora in famiglia a prendere il sole e non pensare a niente.
Facciamo finta che.

Facciamo finta che faccio un lavoro normale e non ho i Carabinieri davanti alla porta a proteggermi e decine di querele temerarie che mi aspettano nel cassetto.

Facciamo finta che.
Che tentazione.

Marilù Mastrogiovanni
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