Io non taccio. L’Italia dell’informazione che da fastidio

Io non taccio. L’Italia dell’informazione che da fastidio

Non sono l’unica, non sarò l’ultima.COPERTINA io-non-taccio libro mastrogiovanni
Non faccio niente di speciale.
Faccio il mio dovere, non perché voglia essere additata come un’eroina ma perché so farlo solo così.
In un certo senso sono in trappola.
Come la mia, le storie di altri sette giornalisti: Federica Angeli, Giuseppe Baldessarro, Paolo Borrometi, Arnaldo Capezzuto, Ester Castano David Oddone, Roberta Polese.
Leggere queste storie per me è stato taumaturgico: mi sono sentita normale. Parte di un gruppo. Io, che vivo in solitudine la mia condizione di cane sciolto.
E normale lo sono davvero.
Perché il giornalismo che fanno i colleghi, che con me hanno firmato il volume “Io non taccio”, alcuni sotto scorta, dovrebbe essere la normalità in un paese che normale non è.
In questo paese si diventa eroi, nostro malgrado, per aver scelto di scrivere (cioè di fare il nostro lavoro) quando invece potevamo stare zitti.

Scrive Giovandomenico Lepore, già Procuratore della Repubblica di Napoli, che ha firmato la prefazione: “Tra i tanti meriti che bisogna riconoscere a questo libro vi è anche quello di aver dimostrato – qualora ve ne fosse stato bisogno – che certi modelli di comportamento sono comuni a tutti gli italiani. Poco importa se il palcoscenico ha avuto come sfondo le guglie della chiesa di Santa Giustina a Padova, o le architetture barocche di Scicli; le suggestioni del monte titano o gli ulvi del Salento: quando c’è un intruso (sia esso un giornalista, un magistrato, un poliziotto) che vuole mettere il naso e anche la penna in cose che potrebbero danneggiare l’immagine o gli affari del mammasantissima di turno, la reazione è sostanzialmente identica: scomposta e, a volta, anche violenta. (…) Penso alla vita blindata di Federica e Paolo, al disagio di Roberta, alla coraggiosa solitudine di Marilù, alla rabbia di Arnaldo, Ester e David. Ma anche all’amletica ironia di Giuseppe, giornalista in terra di ‘ndrangheta. (…) Ma loro, gli otto autori del libro (non a caso tutti giovani e motivati) hanno avuto coraggio. (…) Lo stoicismo di sfidare le ire dei potenti e le intimidazioni dei prepotenti”.

Nel libro racconto tutti i retroscena dei miei primi quindici anni di inchieste, di minacce, di querele vinte, di violenze e di soddisfazioni professionali: dalla TAP alla Xylella, da Paolo Pagliaro a Diego Della Valle, dalla Copersalento della famiglia Fitto alla figlia del boss della Scu.

A che serve un libro così?
A chi serve?
Ha dichiarato Pietro Grasso, presidente del Senato, in occasione della conferenza internazionale promossa da Ossigeno per l’Informazione e da Centro europeo per la Libertà di stampa e dei media di Lipsia, sul tema “proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode”: “Un giornalismo fatto di verità impone ai politici un buon governo. Un giornalista incapace della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato in grado di combattere”.
Ecco, un libro così serve a tutti noi.
Per questo, “Ossigeno per l’informazione”, che dal 2006 al 2014 ha registrato 2.600 casi accertati di violenza sui giornalisti in Italia, con l’editore Centoautori hanno pensato questo volume, pubblicato nella collana Fatti &Misfatti diretta dal collega Nico Pirozzi. Il libro è distribuito da Messaggerie in tutta Italia.
Dedicato a Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Carlo Casalegno, Peppino Impastato, Mario Francese, Walter Tobagi, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno e Beppe Alfano, Uccisi per non aver voluto imparare a tacere.

Marilù Mastrogiovanni
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